Pubblichiamo un dossier sulla cosiddetta politica del green pass, e sul dibattito pubblico che ha accompagnato e sta accompagnando la campagna vaccinale contro il Covid-19. La nostra lettura, fortemente critica, si riallaccia ai precedenti contributi sul tema della rappresentazione pubblica dell’emergenza sanitaria, pubblicati a partire dal marzo 2020. Il dossier è scaricabile a questo link: https://www.asceonlus.org/wp-content/uploads/2021/08/Il-green-pass-non-%C3%A8-un-vaccino.pdf
Di seguito, pubblichiamo la premessa del dossier:
Questo è un articolo critico sulla misura governativa del cosiddetto green pass, e ancora più sulla narrazione pubblica che si è accompagnata a questa misura e, in buona parte, la sostanzia. Nei prossimi capitoletti articoleremo un discorso che parte dalle modalità di crociata con cui è stata presentata pubblicamente la misura, per arrivare a discutere di tutte le criticità che rendono il green pass una politica palesemente discriminatoria e ingiusta verso gruppi assai consistenti della popolazione, ripercorrere le modalità confusionarie con le quali si è narrata la campagna vaccinale, sin dall’anno scorso, in termini che certamente non favoriscono il consenso informato e un coinvolgimento della popolazione, e chiudere la discussione articolando una critica ad alcune delle premesse tecnosoluzioniste, securitarie e di gestione spettacolare dell’emergenza che presiedono a alla misura del green pass.
Abbiamo intitolato questo articolo “Il green pass non è un vaccino”, per provare a restituire un minimo di igiene al dibattito pubblico, ricordando che la discussione su una misura politica governativa come l’imposizione di un passaporto sanitario digitale per l’accesso a una serie di servizi, che certifichi la vaccinazione o la negatività ad un tampone molecolare nelle 48 ore precedenti, non è e non può essere ricondotta ad una discussione sull’efficacia e l’utilità dei vaccini, una questione medica che di fatto è già stata chiusa dal consesso degli specialisti.
Aggiungiamo che, a differenza del modo in cui si è impostata la discussione pubblica, va chiaramente distinta la questione dei vaccini da quella della vaccinazione: gli uni sono tecnologie mediche a disposizione per la prevenzione di determinate malattie, l’altra è la politica attraverso cui attivamente si producono, distribuiscono ed inoculano i vaccini. Ridurre la discussione ad una disfida sui vaccini, vuole dire sostanzialmente cancellare dal discorso la questione della vaccinazione, ovvero lo spazio dove interviene la politica, dove si può e si deve esercitare il controllo democratico e il giudizio sulle scelte dell’amministrazione pubblica, dove la fiducia tra cittadini e istituzioni sanitarie assume rilevanza strategica. Se la discussione sui vaccini si può chiudere nel consesso scientifico specialistico di riferimento, quella sulle vaccinazioni riguarda invece tutti, e non può essere risolta da un ristretto gruppo di specialisti, perché la complessità e l’interdisciplinarità della questione, banalmente, lo impediscono.
In queste settimane, si è presentato il green pass come una sorta di politica vaccinale, una forma di pressione per convincere la popolazione a vaccinarsi, dando per scontato che la popolazione non lo stesse facendo, e che, insomma, il problema della campagna vaccinale sia lo zoccolo duro dei cosiddetti no vax. Abbiamo dati per affermare che la realtà è certamente più complessa di così, e pensiamo che tutta la canea sui no vax sia figlia del profondo e decisivo deragliamento della discussione pubblica sulle vaccinazioni avvenuto nel 2017, ai tempi del decreto Lorenzin.
Da un punto di vista di politica sanitaria, l’approccio del green pass ci sembra analogo a quello adottato per le misure di contenimeno informate al cosiddetto distanziamento sociale. Una modalità di gestione politica improntata ad una “epidemiologia del senso comune” che identifica spazi e situazioni a rischio di contagio secondo pregiudizi inveterati, stereotipi giornalistici e convenienze politiche di comodo, e non secondo i risultati di ricerche eseguite con criteri scientifici. Infatti, anche questa volta, le contraddizioni, i non sequitur, le palesi assurdità che rendono questo provvedimento addirittura controproducente dal punto di vista sanitario, abbondano1.
A nostro avviso, d’altronde, il green pass non è una politica vaccinale, ma solo un ennesimo effetto di scena di quello che a suo tempo abbiamo definito lo spettacolo dell’emergenza2. Un enunciato retorico più che una politica di governo sanitario, teso a mettere in scena il governo dell’emergenza, cautelandosi dagli effetti della lentezza nella campagna vaccinale, rispetto ai tempi di ripresa dell’epidemia, e scaricando preventivamente sulla cittadinanza la responsabilità per il probabile futuro reiterarsi dell’emergenza.
La scelta di non predisporre per legge un obbligo vaccinale, preferendo invece adottare una politica di restrizione delle libertà civili dei non vaccinati attraverso provvedimenti di natura amministrativa, ha, in questo senso, un evidente valore politico. Un obbligo vaccinale, infatti, presuppone una presa di responsabilità chiara da parte dello stato, e avrebbe come effetto quello di mettere al centro della discussione il suo ruolo nel portare effettivamente avanti la campagna vaccinale, che non è avanti come si vorrebbe, specialmente nelle regioni del sud e in Sardegna.
Il meccanismo del green pass, invece, consente di mantenere al centro dell’attenzione il ruolo delle scelte individuali, diffondendo le responsabilità di gestione della epidemia sul corpo sociale, e sostanzialmente distogliendola dagli apparati di stato, in linea di continuità con lo stile politico adottato dal governo italiano sin dal febbraio 2020. Fornendo un nemico pubblico nella veste dei non vaccinati, e la sua punizione attraverso la limitazione dei loro diritti civili, si mette in scena con il green pass una pantomima di giustizia atta a risarcire preventivamente la gran parte della popolazione, vaccinata, per il futuro probabile snervante protrarsi dell’emergenza sanitaria. In caso di quarta ondata, abbiamo già pronto un capro espiatorio3.
1Citiamo tra i tanti questo articolo uscito su Wired.it, perché segnala una parte delle varie assurdità del provvedimento governativo partendo da una posizione simpatetica all’azione di governo e al green pass (che noi non condividiamo assolutamente): https://www.wired.it/scienza/medicina/2021/08/16/green-pass-controlli-regole-scienza/. Molte di queste flagranti contraddizioni, se venissero sciolte con un’estensione del green pass, produrrebbero una situazione di discriminazione per i non dotati di green pass francamente delirante (che arriverebbe sino agli arresti domiciliari). Queste contraddizioni, in ogni caso, sono riconosciute da tutti. Altre, che evidenzieremo nel proseguo dello scritto, sono invece rimaste ai margini della discussione pubblica.
2Si veda: https://www.asceonlus.org/spettacolo-dellemergenza-e-catastrofe-sanitaria-un-anno-di-narrazione-mediatica-del-covid-19-unintroduzione/
3Su alcune ipotesi per motivare politicamente la non imposizione dell’obbligo vaccinale, ha scritto recentemente anche Wolf Bukowski, inserendo anche lui nell’elenco la costruzione del nemico pubblico, che a noi pare essenziale: https://www.wumingfoundation.com/giap/2021/08/governare-nel-torbido/; alcune delle altre tematiche sollevate da Wolf Bukowski saranno trattate nel proseguo di questo scritto, e soprattutto nel paragrafo conclusivo.
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