
Spettacolo dell’emergenza e catastrofe sanitaria: un anno di narrazione mediatica del Covid-19 (un’introduzione)
È passato un anno dalla proclamazione dello stato di emergenza da parte del defunto governo Conte bis, il 31 gennaio del 2020, in risposta alla proclamazione di emergenza internazionale di salute pubblica da parte dell’OMS, e alla registrazione dei due primi casi di Covid-19 in Italia. A rileggere il dibattito pubblico di quel momento, si nota già il mettersi in moto del pendolo mediatico tra isterica istigazione al panico e reticente rassicurazione collettiva, che ha contraddistinto tutta la narrazione dell’emergenza sanitaria. La natura retorica, virtuale, contraddittoria del discorso pubblico emergenziale, è già evidente: nell’allarmismo sensazionalistico dei mass media principali, come nella performatività rassicurante di un governo che si esprime attraverso provvedimenti legislativi intesi principalmente come mezzi di comunicazione mediatica.
Un anno dopo, lo stato di emergenza continua ad essere rinnovato, il discorso sulla gestione dell’emergenza sanitaria che vi si incardina, continua a dimenarsi nelle stesse contraddizioni iniziali, mentre l’ormai evidente fallimento sistemico delle istituzioni dello Stato italiano e delle sue classi dirigenti nell’affrontare la pandemia rimane ai margini del discorso pubblico, presente a tutti eppure assente dal dibattito, inesprimibile in quanto relegato al di fuori dei confini della legittimità istituzionale in cui viene incanalato il dibattito politico.
Da un lato vi è la realtà tragica dell’emergenza sanitaria, dall’altro il ritmo parossistico del discorso sulla gestione dell’emergenza, che ha inghiottito l’emergenza sanitaria trasformandola in emergenza di ordine pubblico, economica, politica, scolastica, logistica, sociale, psicologica e così via. Trasformandola, insomma, in un evento mediatico totalizzante, debordante da ogni cornice narrativa, ennesima incarnazione paradigmatica dello Spettacolo debordiano. Un enorme spettacolo allestito per mettere in scena il controllo dell’epidemia da Covid-19, che rende indecifrabile qualsiasi responsabilità nella catastrofe in atto, moltiplicandola e rifrangendola in un’infinità di aspetti presentati in maniera sconnessa, decontestualizzata, istantanea, spezzando ogni coerenza discorsiva, ogni relazione tra elementi del discorso, sepellendo tutto in una incessante valanga di numeri privi di referenzialità e misura, di discorsi esperti ricontestualizzati in una arena retorica performativo-spettacolare che di per sé ne confuta qualsiasi pretesa di scientificità.
Ci pare che sia giunto il momento di rimettere ordine in questo enorme caos, provare a riprendere un lavoro di analisi quantomai necessario, di fronte all’assuefazione collettiva alla retorica dell’emergenza, agli stratagemmi con cui si mantiene il dibattito pubblico entro i confini di uno status quo che rende impossibile immaginare gestioni politiche alternative a quelle, desolanti, rappresentate nell’arco parlamentare e nelle istituzioni locali.
Iniziamo da qui una serie di articoli volti ad analizzare vari aspetti del caos mediatico sollevatosi in questo lungo anno passato. Rinunciamo per il momento al tentativo di svolgere un discorso complessivo, sia perché l’emergenza è ancora in pieno svolgimento, sia perché la totalità dell’evento mediatico dello stato di emergenza è troppo grande per essere afferrata, a caldo, in un unico sguardo, sia perché servirebbe comunque un libro, per affrontare la complessità di questo argomento, e vogliamo cercare di mantenere un taglio più accessibile, fondato su esempi concreti e su spiegazioni puntuali dei concetti utili a interpretare le distorsioni del discorso mediatico prevalente.
Il nostro punto di vista, ovviamente, pertiene alla critica dei media, alla analisi delle narrazioni con cui si legittima questa precisa gestione dell’emergenza Covid-19, che si incardina nello stato di emergenza. Ma le narrazioni sono quantomai difficili da scindere dalle scelte politiche, incorporate come sono nel processo decisionale di una classe politica che ha abbondantemente dimostrato di confondere la efficacia mediatica delle proprie azioni con la loro efficacia politica e sanitaria.
Nel corso dell’anno, abbiamo già avuto modo di svolgere diverse analisi del discorso politico-mediatico inerente l’emergenza Covid-19: il ragionamento sull’emergenza si è sviluppato innanzitutto all’interno di ASCE, con la riorganizzazione delle attività per fare fronte alla chiusura collettiva di marzo, e la immediata necessità di fare fronte ad un enorme domanda di aiuto da parte della vasta parte di popolazione dimenticata dalle politiche emergenziali. Alla enorme, idiota, campagna mediatica del #iorestoacasa, abbiamo risposto subito chiedendo pubblicamente “e chi una casa non ce l’ha?”. Abbiamo evidenziato subito la natura strumentale dello stato di emergenza, i meccanismi di autotutela del potere costituito, e di scaricamento sulla parte più fragile della popolazione della crisi sociale prodotta dalla incapacità del sistema a fare fronte all’emergenza sanitaria, che erano già molto chiari. Tra fine marzo e maggio, come OsservaMedia Sardegna, abbiamo prodotto una serie di analisi della rappresentazione mediatica del Covid-19, evidenziando una vasta serie di criticità, molte delle quali persistono a tutt’oggi: dalla mobilitazione totale di stampo bellico dichiarata durante la chiusura di marzo, al ridicolo soluzionismo tecnologico rappresentato dalla inutile app “Immuni”, o dalla Didattica a Distanza, all’assurdo e inutile spettacolo della repressione poliziesca durante il lockdown. Tanto di quello che abbiamo scritto allora verrà ripreso negli articoli che scriveremo in queste settimane, perchè rimane valido.
Nei mesi scorsi non abbiamo più prodotto articoli specifici su questo tema, ma il lavoro di raccolta del materiale e di analisi non si è mai fermato, e l’emergenza è entrata in maniera pervasiva in qualsiasi altro discorso si sia sviluppato, per esempio quello riguardante la campagna stampa estiva contro i migranti algerini sbarcati in Sardegna. Numerosi spunti sul tema sono venuti dagli incontri con Wolf Bukowski, che occupandosi delle retoriche reazionarie del decoro urbano e della sicurezza, ne ha evidenziato la replicazione nel dispositivo politico-mediatico dello stato di emergenza. Le misure di contenimento dell’epidemia sono state caratterizzate da una “epidemiologia del senso comune”, costruita sul calco delle retoriche del decoro urbano e lanciata contro i suoi bersagli di sempre: la socialità spontanea, non commerciale, giovanile, migrante, povera, dissidente; lo spazio pubblico in quanto tale. Questa epidemiologia del senso comune informa ancora oggi, con i suoi moduli stereotipati, la cronaca quotidiana del racconto dell’epidemia. Ci dovremo ritornare sopra in maniera approfondita.
Qui, prima di iniziare ad entrare nel merito delle analisi, ci preme mettere in chiaro il punto di vista da cui queste si muoveranno. L’analisi del discorso mediatico non può soffermarsi alle narrazioni giornalistiche, o al caotico mondo dei social media: parte preponderante della produzione mediatica di questi ultimi mesi è il vero e proprio Spettacolo dell’emergenza allestito dagli apparati istituzionali dello Stato, in maniera peraltro sempre più confusa e disarticolata. Sepolte sotto lo Spettacolo dell’emergenza, rimangono inespresse alcune verità di fatto lapalissiane, che tutti ben sappiamo ma fatichiamo ad articolare in un discorso pubblico: lo spazio della distorsione mediatica è tanto in quel che si dice quanto in quel che non si dice, o non si dice in maniera proporzionata all’evidenza e all’importanza che dovrebbe rivestire.
In primis, dobbiamo affermare nettamente, come punto di partenza, che la gestione del Covid-19 è un gigantesco, catastrofico fallimento della classe dirigente italiana nel suo complesso, ad ogni livello.
Il fallimento clamoroso della gestione sanitaria del Covid-19 era un fallimento annunciato e prevedibile, per un Sistema Sanitario Nazionale in via di dismissione da molti anni, e già in fortissima crisi nel garantire i livelli essenziali di assistenza prima della pandemia. Questo fallimento, tutt’ora in pieno svolgimento, è il figlio legittimo di un processo politico di lungo corso, covato nell’arco politico parlamentare e nelle riforme istituzionali che caratterizzano de facto la cosiddetta “Seconda Repubblica”, anche grazie alla riuscita espulsione di qualsiasi forza politica genuinamente socialista. Un processo di smantellamento complessivo dello Stato sociale e di privatizzazione dei servizi pubblici, volto a rinsaldare il potere politico ed economico di una classe dirigente sempre più rapace, parassitaria, autoreferenziale e indifferente ai diritti fondamentali della persona. Le responsabilità del disastro odierno, gettano le radici in una storia lunga trent’anni, non partono a gennaio del 2020.
Per chi ha combattuto per decenni i tagli alla sanità e ai servizi pubblici, i contributi a quelli privati, i blocchi nelle assunzioni, il numero chiuso nelle università e la chiusura privatistica degli spazi di formazione superiore e ricerca scientifica, questo dovrebbe essere il momento della riscossa politica. I fatti tragici di questo anno le danno ragione, eppure quella parte politica è completamente esclusa dal flusso principale del dibattito pubblico, relegata nell’angolo dagli operatori dell’informazione, ridotta completamente allo sbando e disarticolata anche a livello sociale (non ultimo grazie alle limitazioni pesantissime al diritto di riunione di quest’anno). L’analisi della narrazione pubblica dell’emergenza Covid, non può prescindere dall’evidenziare quanto il riempimento dello spazio pubblico da parte dello Spettacolo dell’emergenza abbia contribuito a relegare nell’angolo qualsiasi visione politica alternativa della situazione in atto, persino all’interno dei movimenti e delle forze che pure dovrebbero avere ben chiaro cosa sta succedendo, e soprattutto cosa non sta succedendo nella gestione sanitaria dell’epidemia.
Lo vediamo bene in questi giorni in Sardegna, dove il disastro sanitario generato dalla cronica carenza di mezzi e personale a livello sia ospedaliero che territoriale, esploso definitivamente con il Covid-19, è da mesi completamente relegato nelle cronache locali delle provincie di Oristano, Nuoro, Sassari, Sulcis-Iglesiente, Ogliastra… Un sezionamento tematico che segna volontariamente, e purtroppo efficacemente, un limite politico alla presa di coscienza collettiva dell’enorme gravità della situazione regionale, consentendo così alla Giunta regionale di scaricare completamente le proprie responsabilità politiche, per esempio atteggiandosi a vittima innocente dinnanzi alla proclamazione della peraltro insulsa e inutile “zona arancione” governativa.
Tutto questo succede anche perché lo stato di emergenza, ha smesso praticamente subito di essere una reazione all’emergenza sanitaria del Covid-19, per diventare una reazione all’emergenza politico-istituzionale del fallimento nella gestione dell’emergenza sanitaria. Incorporato nelle misure politiche dell’emergenza e nella narrazione pubblica debordante che le ha accompagnate, vi è l’istinto di autoconservazione di un sistema politico-istituzionale totalmente inadeguato a garantire gli interessi collettivi della popolazione. Sotto questo aspetto, lo Spettacolo dell’emergenza va visto come un dispositivo politico-teatrale, volto a mettere in scena più che praticare il controllo sanitario dell’epidemia, e a deflettere le responsabilità politiche sulla catastrofe in atto in qualunque modo: colpevolizzando i cittadini mediante la retorica degli assembramenti e degli irresponsabili, travestendo le decisioni politiche improntate all’epidemiologia del senso comune da decisioni tecnico-scientifiche, escludendo possibili scelte alternative dal dibattito pubblico, anche mediante la mobilitazione collettiva intorno agli stendardi di false dicotomie (tra partiti dell’attuale arco parlamentare in realtà complici nel processo di dismissione della sanità, tra “scienza” e “negazionisti”, tra “esperti” vari convocati nei talk show, tra “aperture” e “chiusure”, ecc.). Soprattutto: negando spudoratamente l’enorme fallimento dell’intero sistema politico-istituzionale che è sotto gli occhi di tutti.
Qui siamo, ed essere arrivati qui è un quotidiano avviso sul prezzo che dobbiamo pagare come persone e come collettività per la nostra disorganizzazione, la nostra irrilevanza, la nostra incapacità collettiva ad esistere nell’arena politico-mediatica. Occupandoci noi di analisi dei media, non possiamo fare altro che provare a mettere insieme una serie di strumenti utili per emanciparci dalla sovradeterminazione che la potenza del discorso mediatico prevalente ci impone, a livello individuale e collettivo. Mai come in questo anno passato, d’altronde, questa sovradeterminazione è stata potente. Speriamo questo piccolo contributo che daremo possa essere funzionale ad una riscossa politica molto più grande, che pure è sempre più urgente e necessaria.

