Osservamedia Sardegna

La cronaca locale e le veline delle forze dell’ordine: i rischi di un uso acritico delle fonti

Una parte preponderante dell’informazione quotidiana locale, specialmente di quella online, è composta da notizie di cronaca nera. A sua volta, la schiacciante maggioranza delle notizie di cronaca nera è costruita a partire da un’unica fonte: il comunicato delle forze dell’ordine, le quali riportano alle redazioni quotidianamente una relazione dei propri interventi.

La messa a disposizione di una mole non indifferente di materiale preconfezionato, offre una scorciatoia al lavoro delle redazioni, che possono riempire il proprio giornale di contenuti con uno sforzo minimo. L’assunto di base, è che la fonte ufficiale delle agenzie di pubblica sicurezza costituisca di per sé una fonte affidabile e autorevole.

In verità, l’uso acritico della fonte fornita dalle forze dell’ordine costituisce un basilare problema di etica della professione giornalistica, la quale dovrebbe essere vincolata alla verifica costante della rilevanza, della veridicità, della precisione e della completezza delle informazioni fornite, senza guardare in faccia a nessuno. Questo, purtroppo, molto spesso non avviene. Specialmente per i piccoli casi di cronaca che costituiscono il grosso della informazione locale.

In questi primi mesi di vita dell’osservatorio, abbiamo notato diverse volte l’effetto distorsivo che l’adozione acritica e sostanzialmente senza modificazioni del comunicato istituzionale delle forze dell’ordine può comportare. Elenchiamo qui di seguito alcune generali criticità sottovalutate dalla stampa, cui mano a mano, in prossimi interventi, riferiremo esempi concreti tratti dalla cronaca:

1) Il peculiare punto di vista delle forze dell’ordine relaziona, come è ovvio che sia, della loro propria attività. La notiziabilità del fatto diffuso è dunque data dal suo essere stato oggetto di un intervento delle forze dell’ordine. Pertanto la fonte della notizia di cronaca è tendenzialmente costruita su una struttura narrativa molto stringata, nella quale l’azione di ristabilimento dell’ordine perturbato che ha per protagonisti i tutori dell’ordine e per antagonista il soggetto colto in infrazione della legge è in sé conclusa e giustificata.

Ciò che rimane al di fuori della notizia sono tutti gli aspetti dell’azione che non riguardano direttamente le forze dell’ordine (o che, per qualunque motivo, queste non hanno ritenuto di evidenziare), e che dunque spetterebbe al giornalista raccontare. Ciò avviene solo in alcuni casi, con il risultato che si ha una comunissima e strutturale incompletezza dell’informazione, la quale apre il campo a interpretazioni pregiudiziali e stereotipate, specialmente nei casi che riguardano le categorie sociali più emarginate.

2) Le forze dell’ordine non sono vincolate dagli stessi codici deontologici che regolano la professione giornalistica, perciò può capitare che le informazioni e i materiali da loro forniti siano in contrasto palese con i principi base della deontologia giornalistica raccolti nel Testo Unico dei doveri del giornalista; purtroppo, molti si sentono legittimati in queste violazioni, se la loro fonte è la forza di pubblica sicurezza, laddove invece le fonti dovrebbero essere filtrate dal controllo della redazione.

3) L’azione delle forze dell’ordine soggiace a una politica d’indirizzo che viene dal Ministero dell’Interno e passa attraverso prefetture e questure: le risorse non sono infinite e occorre scegliere delle priorità d’intervento. Questa politica, in quanto tale, dovrebbe essere soggetta al dibattito pubblico. Un racconto della gestione della politica di pubblica sicurezza fatto esclusivamente dagli attori incaricati di eseguire le direttive (e senza discuterle), in mancanza della intermediazione critica della stampa, sottrae dal discorso pubblico uno degli ambiti di intervento più visibili e impattanti dello Stato sulla vita sociale, con una lesione della democrazia tanto più profonda quanto meno percepita.

4) Essendo le forze dell’ordine strutture composte da migliaia di persone impegnate quotidianamente in ambiti spesso non facili, può capitare che le informazioni fornite siano inaccurate od erronee. In presenza di abusi, poi, è ovvio che vi dovrebbe essere una fonte terza in grado di fornire una versione disinteressata. Attualmente l’emersione dei casi di errore o abuso prodotti da esponenti delle forze dell’ordine risulta estremamente complessa e difficoltosa, e spesso non è aiutata dall’atteggiamento di una stampa troppo ossequiente verso l’istituzione, o troppo indifferente verso le persone nominate nella cronaca stessa.

5) A lungo andare, la sovraimposizione acritica del punto di vista delle agenzie di sicurezza pubblica nella stampa quotidiana produce una ampia distorsione della realtà collettiva: molto di ciò che avviene nella nostra società finisce per fare notizia solo quando viene sanzionato dalla forza pubblica, i fenomeni sociali rappresentati sono perciò decontestualizzati dal proprio normale svolgimento e ricontestualizzati nell’ambito della infrazione della legge. Questo può produrre la criminalizzazione di interi ambiti sociali, di fatto deformando la diagnosi dei problemi e la definizione delle soluzioni.

6) Avere una pluralità di testate che sostanzialmente rimandano le informazioni di un’unica fonte rappresenta una caricatura della pluralità informativa; ma è innanzitutto l’accuratezza stessa di ogni singola notizia a richiedere una pluralità di fonti. D’altronde, se una notizia non è ritenuta abbastanza importante da essere verificata e accuratamente contestualizzata dalla redazione, allora probabilmente non è nemmeno abbastanza rilevante da essere pubblicata.

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