A.S.C.E.

Associazione Sarda Contro l'Emarginazione

Comunicato di A.S.C.E. Sassari sui fatti del campo Rom di Piandanna

Nella mattinata di oggi, lunedì 15 giugno, la nostra associazione ha avuto notizia, dalle famiglie delle comunità Rom Khorakhanè di Piandanna, della notifica di alcune denunce e del sequestro di due aree del campo e di alcuni mezzi di loro proprietà. Già prima che le numerose pattuglie della municipale lasciassero il campo, in numerose testate online veniva riportata la velina diffusa dall’ufficio stampa del Comune di Sassari.

Teniamo innanzitutto a precisare che le persone denunciate fanno parte della comunità Rom cittadina da oltre 30 anni, sono tutte residenti a Sassari e alcune di loro hanno passaporto Bosniaco, altre la cittadinanza italiana. Stiamo dunque parlando di sassaresi a tutti gli effetti, non di generici cittadini stranieri.

In secondo luogo, a differenza di altri insediamenti spontanei, quello situato a Piandanna è un insediamento COMUNALE, la cui buona gestione dipende, oltre che dalle due comunità che ci vivono, dall’Amministrazione Comunale, e in particolare dall’Assessorato ai servizi sociali. Questo aspetto è centrale nel racconto di tutta la vicenda, che non nasce dall’oggi al domani. È un dato di fatto che questa e la precedente amministrazione comunale erano a conoscenza dello stato del campo, e hanno tutti i mezzi per superare questa situazione di isolamento e ghettizzazione sociale. Infatti, anche al Comune di Sassari sono arrivati i fondi comunitari da destinare al superamento del campo, ma a differenza degli altri comuni della Sardegna dove insistono comunità Rom (in cui, seppur con tanti limiti, qualcosa è stato fatto), a Sassari non si è speso neanche un euro in tale senso.

Precisamente facciamo riferimento a una Delibera di Giunta Regionale (la n.53/4 del 29.10.2018), che assegna al Comune di Sassari 545 mila euro da destinare all’inclusione sociale e abitativa delle comunità Rom. In altre parole il comune ha da oltre un anno e mezzo i fondi (545.000 € per la precisione) per rompere quella catena di segregazione che li ghettizza, li costringe all’isolamento e alla perpetuazione dell’unico lavoro che gli pare riconosciuto da questa società (lo smaltimento dei metalli). Cosa invece è stato fatto e cosa si potrà fare in futuro? Fin dalla precedente Amministrazione, guidata da Nicola Sanna, il comune si è prodotto in una girandola di proposte tanto confusionaria quanto fantasiosa: si è prospettato ai capi-famiglia della comunità Khorakhanè di usufruire di una sorta di rientro volontario assistito in Bosnia, che avrebbe costretto i giovani della comunità in una terra che non è la loro e di cui non parlano la lingua; proposta inattuabile (la Bosnia non rientra tra gli stati interessati da accordi per il rimpatrio volontario) che non si è mai concretizzata.

Una seconda strada, promossa da entrambe le ultime due giunte, tutt’ora percorribile per chi lo volesse, è stata quella di finanziare l’affitto di abitazioni private. Attualmente non sono pervenute offerte, fatto comprensibile se consideriamo l’enorme stigma che circonda la comunità rom, continuamente alimentato dall’unica rappresentazione offerta di questa comunità sui media, che la connotano esclusivamente in termini di criminalità e degrado ambientale, rovesciandole addosso la colpa della emarginazione sociale cui è soggetta da decenni.

L’attuale giunta ha poi prospettato un’altra strada assurda e impraticabile: l’acquisto di camper, con cui spingere le famiglie a insediarsi altrove in maniera autonoma, alimentando così il continuo circuito di allontanamenti, denunce per “occupazione abusiva” degli spazi, ghettizzazione sociale, costrizione a una vita di espedienti, che alimenta il mito del “nomadismo” e la criminalizzazione di queste persone.

Infine, nel febbraio di quest’anno, il comune ha pensato di bandire un’ulteriore gara d’appalto, per sistemare le comunità Khorakhanè in una sorta di centro di accoglienza simile ai “CAS” per migranti, che andrebbe a ricreare i meccanismi ghettizzanti insiti nel campo, oltre che spendere buona parte dei fondi a disposizione per un periodo di gestione di soli 3 mesi. Ci risulta che in seguito all’epidemia di Covid 19 questa ulteriore assurdità sia stata sospesa.

La nostra associazione pensa che il superamento del campo, sia fisico che mentale inteso come una situazione di ghettizzazione sociale, sia possibile solo attraverso meccanismi partecipativi, attraverso l’ascolto della comunità, la conoscenza della sua cultura, il coinvolgimento delle PERSONE che la compongono in quanto PERSONE, e non in quanto problema e pacco da spostare. Pensiamo che si possa e si debba agire a 360 gradi su casa, istruzione, lavoro, salute e prevenzione, al fine di garantire una reale inclusione. La nostra associazione, come fatto più volte attraverso comunicazioni ufficiali, si mette a disposizione dell’amministrazione e delle comunità Rom per incentivare e facilitare questi processi.

Siamo stanchi di rappresentazioni in cui la forza pubblica e le amministrazioni locali mettono in scena il “problema Rom” con grande sfoggio di mezzi, presentandosi nei campi da loro mal gestiti e convocando la stampa a testimoniare esclusivamente il degrado ambientale e la povertà, anno dopo anno, ogni volta come se fosse la prima volta. Siamo stanchi di una rappresentazione a senso unico che disumanizza i Rom dei campi, rappresentandoli solo sotto la chiave concettuale del “degrado”, nulla di più esplicitamente degradante, e della criminalità. Siamo stanchi di una rappresentazione che tace sempre e comunque delle enormi responsabilità istituzionali nella segregazione etnica dei rom, e dell’enorme peso con cui il pregiudizio e il razzismo diffuso nelle nostre comunità schiacciano la loro vita.

L’esclusione dei Rom dall’istruzione, dal mondo del lavoro, dal consesso civile, li costringe a vivere di espedienti, ai margini di ogni legalità, e dunque in una condizione di costante ricatto e vulnerabilità. Il degrado ambientale è frutto della specializzazione indotta verso lo smaltimento illecito dei rifiuti ferrosi con mezzi di fortuna, non di una scelta deliberata. Il teatrino mediatico delle istituzioni e dei media, con la sua rappresentazione che tace SEMPRE delle enormi mancanze istituzionali, delle cause profonde di ciò che viene rappresentato, è parte integrante del sistema di segregazione razziale di cui sono vittime i rom, in quanto rilancia il circuito della emarginazione legittimando e perpetuando lo stigma verso la comunità. Rappresentati costantemente come criminali e produttori di discariche abusive, i Rom continueranno ad essere esclusi dall’accesso alle abitazioni e al lavoro, discriminati nelle scuole, fino alla prossima sceneggiata di una forza pubblica che non ha alcuno strumento per trasformare la situazione dei ghetti etnici per rom, e pertanto si limita a riconfermarla periodicamente.

È tempo di spezzare una volta per tutte questo circuito di segregazione razziale e criminalizzazione etnica. Le istituzioni mettano tutto il peso di una volontà politica informata e determinata nel produrre percorsi partecipati e condivisi di uscita dal ghetto: meno polizia, più servizi sociali, istruzione, diritti. Invitiamo i media a rappresentare i Rom come persone, a raccontare la storia delle comunità in tutta la sua interezza e complessità, evidenziando le responsabilità della comunità maggioritaria nello stato di difficoltà della comunità ghettizzata, e a non parlare solo di “degrado”. Solo così, in un percorso che sarà comunque lungo e non facile, si potrà porre fine alla quotidiana vergogna della discriminazione razziale verso il popolo Rom che noi tutti, volenti o nolenti, stiamo continuando a perpetuare.


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