Oggi a pagina 8, l’Unione Sarda ci mostra un esempio clamoroso dei non sensi che produce quotidianamente la confusione tra brevità e trascuratezza nel lavoro giornalistico, e in particolare nella strutturazione dei titoli. Nel dare notizia della celebrazione della Giornata della memoria di ieri, ci viene infatti proposto questo occhiello decisamente infelice: “L’Olocausto degli ebrei è stato celebrato ieri in tutto il mondo”.
Letteralmente, questa frase significa che ieri si è compiuto in tutto il mondo un rito sacrificale di ebrei, la locuzione “celebrare un olocausto” ha questo preciso significato, e questo occhiello assume un senso macabro e assurdo.
Il riferimento per antonomasia allo sterminio nazista degli ebrei (l’olocausto con la O maiuscola), spostandone il riferimento semantico dal campo religioso, fa assumere al verbo “celebrare” un significato anche più oltraggioso, di glorificazione e festeggiamento. L’occhiello dell’Unione Sarda assume così un significato decisamente sarcastico, in quanto ci suggerisce che l’intento della Giornata della memoria sia addirittura l’opposto di quello per cui è stata ufficialmente istituita: non condannare, ma celebrare lo sterminio degli ebrei.
Certamente siamo di fronte ad un semplice errore, dovuto a pura e semplice sciatteria nell’uso del linguaggio. Un fatto increscioso per professionisti dell’uso del linguaggio, come si suppone siano quelli che siedono in una redazione giornalistica, ma più o meno tutto qui.
Ci si consenta comunque di utilizzare questo errore per aprire una piccola breccia nell’ingranaggio retorico del Giorno della memoria, nel meccanismo consueto delle parole di circostanza della ritualità istituzionale che contraddistingue questa ricorrenza (e non celebrazione) sin dalla sua istituzione.
È possibile che effettivamente vi sia un’ombra di reale celebrazione, nei riti compiuti il 27 gennaio, per quello che rimane oggi, a buona ragione, l’atto più universalmente condannato della storia umana?
La reiterazione figurata dell’Olocausto non rischia di assumere ogni 27 gennaio proprio la funzione di un rito sacrificale, mettendo in scena la redenzione della nostra società dall’orrore nazi-fascista, per espiarne i peccati?
Il confronto con il nazismo, il peggiore dei regimi politici possibili, non viene forse usato per assolvere i nostri regimi politici dai crimini che compiono quotidianamente, perché questi non saranno mai gravi come quelli del nazismo?
Sono domande retoriche. Di fatto questi sono aspetti che fanno parte del Giorno della memoria, e fanno parte delle ragioni politiche della sua istituzione. Non vedremo nessun capo di Stato, il 27 gennaio, rinnegare le politiche di segregazione razziale, gestione di campi di concentramento, persecuzione politica, aggressione bellica che vengono perseguite quotidianamente dal suo paese. Tutti si riferiranno ad un orrore di 75 anni fa per ripetere a parole un “mai più” che nella pratica non hanno nessuna intenzione di rispettare. Politiche affini a quelle operate dai nazi-fascisti continuano a fare parte delle pratiche messe in campo dagli Stati, Italia compresa, come abbiamo già argomentato l’anno scorso, e nulla è cambiato nel frattempo.
Certo, è indiscutibile il fatto che la situazione sarebbe ancora peggiore dove la continuità storica con il nazi-fascismo fosse apertamente rivendicata, ma l’identificazione collettiva con le vittime dell’Olocausto, il disconoscimento totale delle similarità pur presenti tra i nostri regimi politici, economici e modi di vita, e quello nazista, assume ogni 27 gennaio l’aspetto di uno sterile rituale purificatorio collettivo, svolto sulle ceneri di milioni di capri espiatori, perché si fa cieco alla visione del presente, alle reiterazioni già in atto di quell’orribile passato.
Se veniamo al titolo scelto dal giornale, entriamo nel nucleo vuoto del dispositivo di esorcismo retorico costruito intorno al 27 gennaio: «Ricordare è un dovere di civiltà». È la retorica della memoria come salvazione. Una salvazione a buon mercato, che non ci richiede altro che di pronunciare annualmente alcune parole di circostanza, magari sciatte e involontariamente sarcastiche come quelle dell’Unione Sarda. Non vi è nessun impegno personale, nessuna posta politica in gioco: il ricordo è parte di una storia distante, priva di effetti diretti sulla vita odierna di chi lo esercita.
Ora, il mero ricordo di quei crimini è certamente necessario affinché non si ripetano, ma non è sufficiente. Fermarsi al ricordo, vuole dire fermarsi alla formalità, alla ritualità. Il ricordo, il riconoscimento empatico con le vittime del nazi-fascismo, non ha senso se non siamo in grado di utilizzarlo come strumento di giudizio per riconoscere, in quello che succede oggi, gli elementi che ancora accomunano i nostri regimi politici all’orrore nazi-fascista, le vittime odierne di questo orrore, il nostro ruolo in questo contesto.
Come insegnava Zygmunt Bauman nel suo Modernità e Olocausto, lo sterminio organizzato dai nazisti non rappresenta affatto un unicum, come pure vorrebbe la retorica del “male assoluto”, ma semmai la realizzazione più spietata e orribilmente coerente di una serie di strategie di dominazione e sterminio, esplorate da numerosi Stati in molti modi differenti, all’interno di una evoluzione culturale e tecnologica che riguarda l’intera società moderna e contemporanea di stampo occidentale, e non solo la Germania degli anni ‘30 del novecento.
L’Italia ha fatto ampio uso di quegli strumenti nel corso delle sue campagne coloniali in Libia ed Etiopia, ma per quei crimini allucinanti in Italia non c’è nessun giorno della memoria, nessuna presa di coscienza, nessuna empatia con le vittime.
Meglio ricordare i crimini di un Altro, dei nazisti, e illudersi della loro irriducibile alterità, nonostante gli strumenti materiali e organizzativi utilizzati per effettuare lo sterminio di ebrei, rom, omosessuali, nemici politici, disabili, siano ancora tutti qui a disposizione. Nonostante i concetti, le spinte ideologiche e sociali, il sentire collettivo, che hanno costituito le premesse culturali della macchina dello sterminio, siano ancora parte integrante della nostra società.
È inutile il ricordo del passato, senza la consapevolezza di quello che succede nel presente. Inutile coltivare la memoria di un passato altrui, se non sappiamo mobilitarla per le nostre scelte nel presente. È qui, nelle scelte politiche dell’oggi, che si dà senso alla memoria del passato, o lo si nega. Dovremmo riuscire a rompere il clima di autocompiacimento che circonda le celebrazioni del Giorno del ricordo, per metterci tutti di fronte alle scelte presenti che possiamo fare, per cessare una ripetizione degli orrori del passato che è già in atto, quotidianamente, sotto i nostri occhi.
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