Ieri, 2 ottobre 2020, su La Nuova Sardegna sono usciti due articoli di cronaca locale riguardanti fatti inerenti la comunità rom sarda. Ambedue, in modi diversi, testimoniano del normale occhio razzista con cui si continua a dare conto delle vicende di questa comunità.
Il primo articolo, uscito in cronaca di Sassari, è importante, più che per quanto viene riportato, per quanto nei giorni scorsi NON è stato riportato dal giornale. A dare segno della discriminazione normale cui è soggetto il popolo rom, è il criterio di notiziabilità con cui la redazione sassarese decide quali notizie sono degne di essere riportate.
Pochi giorni fa, infatti, abbiamo fatto uscire un comunicato che si occupava delle enormi mancanze del Comune di Sassari nel predisporre politiche per interrompere il ciclo di miseria, emarginazione e criminalizzazione che coinvolge la comunità Khorakhané del ghetto di Piandanna. La notizia è stata bellamente ignorata, e con essa le domande poste dalla comunità al Comune di Sassari.
Esce invece la notizia di un processo per vari reati legati allo smaltimento illecito di rifiuti, nello stesso campo, a seguito di una inchiesta condotta 5 anni fa. Il tono indignato e ipocritamente stupito del giornalista, rimuove dal discorso la condizione di partenza (la miseria e l’emarginazione dentro ad un ghetto etnico istituito dallo Stato), allo scopo di aggiungere lo stigma della criminalità a quello implicito dell’appartenenza etnica. Ma che molte famiglie rom, impossibilitate a trovare qualsiasi lavoro a causa delle condizioni di enorme marginalità sociale e stigma razziale da cui sono circondate, campino della rivendita di materiali metallici smaltiti con metodi di fortuna, spesso illeciti e inquinanti, non è una novità. Né è una novità la gestione univocamente e inutilmente repressiva di questo fatto sociale, che richiederebbe ben altri provvedimenti. Provvedimenti che gli enti preposti si rifiutano di prendere anche solo minimamente in considerazione, perpetuando un ciclo di miseria, emarginazione, criminalizzazione e stigma, che passa anche dalla rappresentazione parziale offerta dalla stampa locale.
Nel secondo articolo, uscito in cronaca locale di Nuoro, si da conto del gravissimo attentato incendiario nel quale sono stati incendiati una macchina e un furgone di proprietà di una famiglia rom serba residente a Bolotana. L’attentato viene a poco più di un anno di distanza da un altro analogo, in un contesto di tacita segregazione dalla comunità che la famiglia, fatta salvo qualche lodevole eccezione, continua a vivere.
La Nuova, in questo caso, ha assegnato il pezzo a un giornalista totalmente ignaro del contesto e dei fatti più basilari, che si è occupato della vicenda con superficialità e scorrettezza. In primis, troviamo ripetuta la annosa e assurda confusione tra romeni e rom, che aveva già alimentato la feroce campagna stampa legata al caso di Giovanna Reggiani nel 2008, fino a condurre alla predisposizione del primo “Pacchetto Sicurezza” sotto l’egida del Ministro degli Interni Maroni. La famiglia coinvolta non è romena o di origine romena, è serba. Se il giornalista si fosse degnato di andarci a parlare, lo saprebbe.
Saprebbe anche che la decina di persone che abitano nel paese appartengono ad un unico nucleo familiare, ed è falso sostenere che “il numero, come da loro costume, è sempre variabile”, perché non vi è alcun costume al riguardo, e perché non vi è neppure la variazione favoleggiata. Emerge in maniera assai evidente come a parlare in questo articolo sia il pregiudizio diffuso, e non un’informazione qualificata, dando in poche parole l’idea di uno spazio incontrollato, di un vai e vieni continuo per cui in realtà non si può mai sapere chi siano davvero queste persone, reiterando implicitamente la leggenda del nomadismo dei rom, e giustificando a priori quel clima di indifferenza velata di ostilità che circonda questa famiglia da quando è arrivata nel paese di Bolotana, e che certamente facilita il ripetersi di episodi come la pesante intimidazione registrata in cronaca.
Non smetteremo mai di pretendere che la cronaca rispetti criteri di maggiore rispetto per la comunità rom: riportando correttamente le informazioni che riguardano i suoi componenti, riportando in maniera completa il contesto in cui emergono i fatti (in genere, purtroppo, quello di una pesantissima segregazione etnica), e dando voce e agentività alle persone della comunità stessa, che vengono invece trattate costantemente da entità aliene, prive di voce, di aspirazioni e di un sentire proprio degno di essere rappresentato pubblicamente.
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