Nelle ultime settimane, in seguito all’ennesimo crimine di guerra statunitense in medio oriente (che ha portato all’uccisione del generale iraniano Soleimani), con il rischio di una pericolosa escalation militare in tutta l’area, anche in Sardegna, movimenti, organizzazioni e singoli attivist* contro la guerra si stanno mobilitando. Il ruolo della nostra isola nel contesto geopolitico mediterraneo e globale (che meriterebbe ben altri approfondimenti e considerazioni oltre a queste poche riflessioni) si concretizza nella filiera bellica, che purtroppo prospera e si evolve: dai due poligoni più grandi di Europa (Quirra e Teulada), al Distretto Aerospaziale della Sardegna (DASS), alla fabbrica di bombe RWM di Domusnovas, all’industria e ricerca bellica, fino alla presenza militare nelle scuole e nelle università (e anche in questo caso non si ha la pretesa di essere esaustivi). Per questo motivo qualunque mobilitazione contro la guerra in Sardegna non può non essere collegata all’occupazione militare (e non solo), andando a individuare le giuste controparti locali e italiane, che da oltre 60 anni legittimano tale occupazione, senza limitarsi alla pur giusta opposizione al sistema NATO.
In tante e tanti hanno risposto ai diversi appelli lanciati da più attori e a più livelli: dal sit chiamato da Liberu all’Aeroporto militare di Decimomannu dell’11 gennaio, alle assemblee locali di A Foras a Nuoro, Cagliari e Sassari (svolte tra il 10 e il 12 gennaio), fino all’appello italiano alla mobilitazione internazionale per il 25 gennaio (lanciata da diverse organizzazioni pacifiste statunitensi), sottoscritto anche da associazioni sarde. Queste ultime hanno convocato un flash mob a Sassari per il 25 gennaio. Nella stessa data, a Cagliari, si è tenuta una manifestazione sarda lanciata da A Foras con altre sigle e singoli attivisti, lanciata nel capoluogo durante l’assemblea del 12 gennaio, rispondendo anche in questo caso alla chiamata internazionale (senza passare da una piattaforma italiana).
Dopo il 25, proseguiranno i percorsi contro guerra e basi militari: attualmente a Sassari e ad Alghero sono già state convocate le prossime assemblee. A Sassari, dopo una seconda assemblea di movimento, più ampia e partecipata della prima convocata da A Foras, svoltasi lunedì 20, seguiranno diverse iniziative di informazione, approfondimento e sensibilizzazione, che porteranno a una grande manifestazione contro la guerra e le basi che si terrà a fine febbraio. Il prossimo appuntamento organizzativo è per oggi, lunedì 27, alle 17:30 al circolo culturale Borderline, in via Rockfeller. Sempre oggi, in contemporanea, al Res Publica di Alghero si terrà un’assemblea analoga. Mercoledì 29, a Cagliari, si terrà un dibattito pubblico organizzato dalle studentesse e studenti per A Foras su “Scenari di guerra dal vicino oriente”, presso l’aula magna della facoltà di Scienze Politiche, in viale Fra Ignazio.
Insomma, se in medio oriente l’escalation sembra scongiurata, e la terza guerra mondiale di cui si è tanto parlato qualche settimana fa non è scoppiata, in realtà va detto che il mondo è in stato di guerra permanete da un bel pò, dunque ben vengano anche delle risposte non solo occasionali e di reazione, ma sistematiche, di prospettiva e legate alla situazione sarda. Insomma, in Sardegna, con tempi e modalità diverse, pare rilanciarsi il movimento contro guerra e occupazione militare. Tanti modi un’unica lotta? Ben venga, ma con dialogo, rispetto delle diversità e solidarietà.
Così come su altri temi, il ruolo dell’A.S.C.E. in questo ampio ed eterogeneo movimento vorrebbe essere quello di favorirne l’inclusività, la costruzione dal basso (a partire dalle assemblee locali), l’apertura, il legame con le altre lotte, il dialogo tra le diverse forze in campo. Questo non vuol dire che tutti la debbano pensare nello stesso modo: nel movimento esistono le differenze, i punti di divisione e ne prendiamo atto (dall’azione diretta, al rapporto con le istituzioni italiane ed europee, per non parlare dei punti di vista entro e sulla geopolitica). Altra cosa è però l’assenza di dialogo: per questo riteniamo che debbano esser aperti e vissuti spazi di discussione, confronto e magari anche scontro (dialettico), rigorosamente dal basso.
Lavorare per favorire l’inclusione e le mobilitazioni dal basso significa fare un passo di lato per far posto a chi fino a oggi non era al nostro fianco: per questo abbiamo sostenuto convintamente la proposta di A Foras di mobilitazione unitaria e condivisa che ha portato a essere in migliaia a Capo Frasca il 12 ottobre. Così come condividiamo la scelta di chiamare assemblee e manifestazioni generali e non di A Foras, come quella del 25 gennaio a Cagliari. Anche sulla solidarietà il movimento deve essere unito: si possono non condividere scelte e pratiche politiche, ma di fronte alle forze della repressione, che in questi mesi vogliono infliggere misure liberticide (leggi sorveglianza speciale) a compagn* che negli anni scorsi hanno lottato contro le basi è necessario prendere posizione in maniera ferma e decisa, rifiutando la solita logica di divisione tra buoni e cattivi.
Esistono ancora dei limiti che ostacolano la piena partecipazione e inclusività nel movimento? Una marea, ma la strada è tracciata e noi continueremo a percorrerla con convinzione. Per questo ribadiamo il nostro appello alla partecipazione sia alle chiamate già in campo, ma sopratutto a quelle che sono ancora da costruire, a partire dalle due assemblee di oggi a Sassari e Alghero.
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